La crisi produttiva territoriale e la pandemia

La crisi produttiva territoriale e la pandemia

La pandemia continua a presentare un conto molto salato: stando ai calcoli dell'Istat a fine febbraio, rispetto allo stesso mese del 2020 ci sono stati 945.000 occupati in meno. Lavoratori a tempo determinato e autonomi trai i più colpiti, mentre a causa dell'aumento degli inattivi, che vede 717.000 persone in più che non tentano di trovare un lavoro, il tasso di disoccupazione è sceso al 10,2%. L'impatto economico della pandemia sui territori è stato invasivo e abbastanza eterogeneo, stando al rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi.

La crisi ha colpito tutte le Regioni, ma con una maggior incidenza nel Centro-Sud. Le divisioni verificatesi su base territoriale sono dovute in parte "all'applicazione delle misure di contenimento della pandemia su base regionale". La crisi di liquidità ha portato le imprese ad utilizzare vari strumenti per reggere il colpo, in particolare il credito bancario. Con la pandemia si è verificato un vero e proprio cambiamento nei canali di finanziamento, che pare però essere destinato ad essere transitorio.

L'Istat, con il Rapporto 2021 sulla competitività dei settori produttivi, mostra come in metà delle Regioni “almeno la metà delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio Alto o Medio-alto", ovvero a conseguenze quali la riduzione del fatturato, oltre a seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi.
Tali vulnerabilità sembrano dipendere dal grado di diffusione del tessuto produttivo locale nel territorio sia dalle specializzazioni che si hanno nelle attività che hanno più risentito della pandemia e delle necessarie misure di sicurezza (come quelle del settore turistico).

Si rischia quindi un ulteriore divario, ad aggravare quello esistente, delle regioni italiane. Infatti se un rischio basso si può riscontrare in sei regioni del nord Italia (Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Provincia autonoma di Trento) quelle ad alto rischio si trovano invece al Centro Italia (Umbria) e soprattutto nel Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna).
L'Istat rivela che "anche in una prospettiva più granulare, utilizzando come unità di osservazione i 610 Sistemi locali del lavoro (Sl) emerge una chiara dicotomia nel Paese: dei 245 Sl ad alta o medio-alta fragilità, oltre tre quarti sono localizzati nelle regioni del Centro-Sud; tra queste ultime, Puglia, Campania e Basilicata si caratterizzano per un grado elevato di fragilità, con punte massime in Calabria, Sicilia e Sardegna."

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